L’ approccio cognitivo comportamentale

da | Ago 30, 2022 | Psicoterapia

L’approccio cognitivo comportamentale pone le basi negli anni ’60, quando Aaron T. Beck elaborò una nuova forma di psicoterapia. Le ricerche all’inizio la validarono per la depressione. In seguito l’approccio si estese a disturbi psichiatrici, problemi psicologici e medici con componenti psicologiche.

Qual è l’idea di base dell’approccio cognitivo comportamentale?

L’idea alla base è che non sono le situazioni ad influire sulle emozioni che proviamo, ma i nostri pensieri. Le interpretazioni delle situazioni determinano quindi il modo in cui ci sentiamo e ci comportiamo. Questi pensieri vengono chiamati da Beck “pensieri automatici”, perché sono irrazionali, inconsapevoli e automatici, che non si colgono se non rivolgiamo loro una particolare attenzione.

Identificare questi elementi non è sempre facile. Nel corso della terapia, si richiede di identificare innanzitutto l’emozione provata in una determinata situazione. Capire cosa proviamo in alcuni momenti può aiutare a capire anche l’entità dell’emozione, non solo il tipo. Identificare i pensieri automatici è il passo successivo e richiede un po’ più di pratica.

Cosa sono i pensieri automatici?

I pensieri automatici sono definiti così perché nascono spontaneamente e non sono basati sulla riflessione e su dati oggettivi. Essi si basano in realtà su credenze, supposizioni, sensazioni: ci crediamo perché sono frutto della nostra mente e possono essere frutto di insegnamenti passati.

Portare il pensiero automatico ad un livello consapevole è possibile con una riflessione che avviene grazie all’approccio cognitivo comportamentale. Sarebbe difficile farlo in autonomia, dal momento in cui non siamo abituati a concepire alcuni dei nostri pensieri come disfunzionali per il nostro benessere.

Identificare i pensieri automatici

Per far ciò, Beck elaborò una strategia che andrebbe fatta quotidianamente: la registrazione del pensiero. Si tratta di una scheda in cui si possono trascrivere i pensieri automatici quando notiamo un cambiamento dell’umore. Possiamo quindi annotare: l’emozione che stiamo provando in un dato momento, la situazione in cui si è manifestata e il pensiero che in quella situazione ha provocato l’emozione.

Inoltre, inizialmente con l’aiuto del/della terapeuta, e via via in modo più autonomo, si può valutare l’irrazionalità del pensiero e discuterlo. Quando abbiamo evidenziato i pensieri disfunzionali infatti, si possono modificare attraverso la ristrutturazione cognitiva. Questa tecnica ci aiuta a trovare delle spiegazioni alternative ai nostri modi di pensare, per modificarli in modo più funzionale per noi.

Quanto dura la terapia cognitivo comportamentale?

I fondatori dell’approccio cognitivo comportamentale hanno concepito questa terapia di durata non eccessiva. Tuttavia è vero anche che non è possibile stabilire a priori la durata di un percorso terapeutico. Bisogna valutare diversi fattori, tra cui le difficoltà che vengono portate nei colloqui o il tempo di sviluppare una buona alleanza terapeutica.

La terapia cognitivo comportamentale propone di far diventare il paziente “il terapeuta di se stesso”. Questo concetto rende bene l’idea di come la psicoterapia favorisca una maggiore autonomia, una maggiore autostima, una diversa visione di se stessi, degli altri e del mondo.

All’inizio tutto questo sembrerà molto difficile. Bisogna ricordare che il percorso terapeutico si fa insieme, non si è soli nel fare la conoscenza di sé. Questo tipo di approccio richiede anche della pratica da parte della persona, al fine di poter camminare con le proprie gambe quando il percorso sarà finito.

Approfondimenti

Per saperne di più sull’approccio cognitivo comportamentale, o se pensi di avere bisogno di aiuto, puoi contattarmi qui!

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